L’invecchiamento fa parte della vita.
Tuttavia un numero sempre crescente di persone anziane, non invecchia secondo le consuete aspettative, e va incontro ad un deterioramento mentale. Man mano che aumenta l’età media della popolazione, il numero delle persone affette da tale condizione crescerà drammaticamente, e sempre più spesso incontreremo persone affette da Demenza.
La tipologia più diffusa di Demenza è la malattia di Alzheimer, che provoca un irreversibile e progressivo deterioramento delle abilità cognitive (linguaggio, memoria, giudizio, ragionamento, riconoscimento, etc.), con un’alterazione nel comportamento e nella personalità.
A causa anche della dipendenza dall’altro e dalla perdita delle proprie autonomie, non stupisce la considerazione di trovarci davanti ad una patologia complessa, non solo per la sua componente patogena ma, soprattutto, per le implicazioni che comporta nella famiglia del malato.
Ma, proprio per questo, come riconoscere e distinguere la demenza di Alzheimer da quello che è un invecchiamento naturale?
Cosa fa una persona con Alzheimer che la rende così diversa dagli altri?
- Dimentica le parole e le frasi comuni (per augurare buon Natale può dire “Buon Compleanno);
- Dimentica le cose più spesso (“Cosa dovevo fare oggi?”);
- Fa cose che sembrano insensate (in pieno inverno, esce a camminare in maglietta e pantaloncini);
- Ha difficoltà ad orientarsi (“Dove mi trovo?” “Dove vivo?”);
- Ha difficoltà nei compiti da sempre svolti (Non riesce più a fare i calcoli con i numeri);
- Ha un cambiamento di personalità, diventa sospettoso, confuso o impaurito (se non trova gli occhiali, pensa subito ad un furto);
- Mette gli oggetti in posti bizzarri (ripone l’orologio in frigorifero);
- Ha perso interesse nel fare le cose;
- Ha difficoltà nel compiere gesti quotidiani (non riesce più a mettersi la cravatta);
- Cambia frequentemente umore o comportamento (può passare facilmente dalla risata al piano)
Simili episodi rendono chiara la difficoltà nel gestire una persona con Alzheimer, anche perché ci troviamo davanti ad un paradosso: noi sappiamo che è malato, ma lui è convinto di essere sano.
Il nostro caro cambia, non è più lui, vive in un mondo tutto suo e, nonostante i nostri sforzi, continua a peggiorare; si estranea dal mondo e diventa sempre più difficile interagire con lui.
Aggressività, oppositività, difficoltà nel linguaggio e di memoria, rendono la nostra azione di familiari ancora più difficile, e questo può far nascere in noi dubbi e perplessità, quali:
- “mi sento in colpa, forse potrei fare di più”
- “nessuno mi capisce”
- “mi sento solo ad affrontare un problema così grande”
- non riesco ad accettare i brutti pensieri che mi vengono su mia mamma”
- “sento addosso il giudizio degli altri”
- “non ho più una vita sociale”
- “per curare mio papà, sto togliendo tempo ai miei figli”
- “mia mamma mi ha cresciuto, ed ora io devo prendermi cura di lei”
- “non è più il mio papà”
Emergono così sentimenti contrastanti, quali rabbia, frustrazione, tristezza, stanchezza, smarrimento ed impotenza, che rischiano di portarsi ad un esaurimento psicofisico, prima ancora che ne diveniamo consapevoli.
Quindi, cosa fare?
Per essere veramente d’aiuto al prossimo, devo prendermi cura della mia salute e del mio benessere psicofisico; devo riconoscere i miei limiti; devo capire quando sono in difficoltà. Non posso aiutare nessuno se sono stressata o in crisi.
Un utile aiuto viene dato dai GRUPPI ABC, ossia gruppi di auto-aiuto, aperti ai familiari (caregiver) di persone con Alzheimer. Lo scopo è favorire la condivisione ed il supporto, uscendo dall’isolamento e dallo stato di difficoltà in cui si vive, acquisendo anche le giuste modalità comportamentali e verbali con cui è meglio approcciarsi.
Grazie all’approccio capacitante ed al metodo dei 12 passi, infatti, si impara ad essere un curante per il proprio familiare, un curante esperto nell’uso della parola.
Certo, un simile percorso non farà sparire l’Alzheimer ma permetterà di:
- trovare un luogo in cui condividere le difficoltà della vita e l’accettazione della malattia;
- non sentirsi più soli;
- trovare nuove soluzioni ai problemi quotidiani;
- imparare a comunicare in nuove forme;
- riacquistare fiducia nelle proprie capacità;
- migliorare il proprio benessere psicofisico;
- ridurre i disturbi comportamentali (aggressività, oppositività) del nostro caro.
Come diceva Shakespeare: “Quando nel dolore si hanno compagni che lo condividono, l’animo può superare molte sofferenze”